Unico ma non inimitabile

In un bell’articolo apparso sul New York Times, Michael Tomasello, co-direttore del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, si chiede dove risieda l’unicità degli esseri umani.
L’approccio di Tomasello è, ovviamente, il naturalismo: negli esseri umani non c’è nulla di sovrannaturale, gli uomini non sono altro che animali e come tali vanno studiati.

Che cosa hanno gli esseri umani che gli altri animali non hanno?
La capacità di creare e utilizzare degli strumenti? Lo fanno anche gli scimpanzé e, aggiungo io, pure i corvi della nuova caledonia.
Il linguaggio? Ancora una volta, no: io ho pensato ancora agli scimpanzé, ma Tomasello cita i pappagalli, e non posso che credergli.
La capacità di insegnare? A quanto pare, lo fanno anche le formiche.

Gli esseri umani sono allora, nel complesso, più intelligenti degli altri animali? Ipotesi interessante.
Tomasello è uno scienziato, e ha quindi deciso di mettere alla prova questa idea della maggiore intelligenza. Ha così scoperto che, per quanto riguarda la comprensione dello spazio, della quantità e della causalità, non ci sono ragguardevoli differenze tra un bambino di 2 anni e uno scimpanzé adulto. Tuttavia, i bambini sono molto più abili nei compiti sociali:

When you look at apes and children in situations requiring them to put their heads together, a subtle but significant difference emerges. We have observed that children, but not chimpanzees, expect and even demand that others who have committed themselves to a joint activity stay involved and not shirk their duties. When children want to opt out of an activity, they recognize the existence of an obligation to help the group — they know that they must, in their own way, “take leave” to make amends. Humans structure their collaborative actions with joint goals and shared commitments.

Credo che quello che intende Tomasello con “shared commitments” sia molto simile a quello che il filosofo John Searle chiama “collective intentionality”, intenzionalità collettiva. Potrebbe non trattarsi di una coincidenza, perché Tomasello prosegue con quello che sembra proprio il primo capitolo de La costruzione della realtà sociale di Searle:

Finally, human infants, but not chimpanzees, put their heads together in pretense. This seemingly useless play activity is in fact a first baby step toward the creation of distinctively human social institutions. In social institutions, participants typically endow someone or something with special powers and obligations; they create roles like president or teacher or wife.

L’intenzionalità collettiva, direbbe Searle o, come direbbe invece Tomasello, la capacità di avere “shared commitments” e di fingere insieme (stitica traduzione di “put their heads together in pretense” sono alla base delle istituzioni umane e, quindi, della società. È questa la differenza tra l’uomo e gli altri animali: la capacità di collaborare (eventualmente contro gli altri) e di costruire una società.

Questo interessante articolo mostra anche quanto il naturalismo possa essere ricco, ed è in questo senso una ottima risposta alle accuse (peraltro in buona parte condivisibili) di Giorgio Israel, secondo cui il naturalismo «ha come programma la riduzione di ogni aspetto della realtà a processi naturali, ovvero materiali, e che quindi altro non è che una forma di materialismo».
 

44 commenti su “Unico ma non inimitabile

  1. Questo post mi ha fatto smuovere un po di materiale che avevo nella testa sull’impostanza della società per gli esseri umani. Spero di aver un po di tempo per elaborare un po nel prossimo futuro (il tempo è sempre tiranno…)

    Mi dai qualche riferimento “giusto” e soprattutto leggibile per un profano come me, su queste teorie sociali di Searle? “La costruzione della realtà sociale” è leggibile per un non-filosofo?

  2. Se mi dici dove sono condivisibili le accuse di Israel, che mi sembra abbia scritto un pezzo degno del papa o di schoenborn, cerco di capire dove sbaglio io a considerarlo una vera difesa della religione contro la scienza. E una forte affermazione del “ci sono più cose…”. Non gli va bene neppure il naturalismo metodologico, che ca@@o vuole! E oltretutto è anche contro la causa umana del riscaldamento globale…

  3. dimmi se e dove sbaglio:

    tomasello sostiene che “solo” gli uomini sanno che stanno costruendo una società.

    la differenza starebbe nella coscienza della “finzione” dei ruoli, non nel fatto che l’uomo crea società e gli animali no.

    perché quest’ultima ipotesi è chiaramente falsa. lupi, scimmie, formiche, api… non si contano gli animali che costruiscono società, vale a dire danno una struttura ai loro gruppi. quindi dovremmo pensare che loro non sanno di dare una struttura, ma lo fanno inconsciamente, istintivamente.

    però un bambino di 2 anni non credo reciti consapevolmente dei ruoli sociali. gioca. quindi nemmeno l’uomo comincia a vivere socialmente per una scelta consapevole. nemmeno il ruolo alla fine è scelto “razionalmente”.

    d’altro canto, anche gli animali conoscono il gioco come strumento di socializzazione – ovvero come modo di creare strutture sociali. due o più cuccioli che giocano a rincorrersi e mordersi stanno da una parte svagandosi, giocando, vivendo una specie di surplus di energia vitale – dall’altra parte stanno provando le loro forze per stabilire gerarchie, strutture.

    i bambini di due anni sono “piccole pesti”: diversi studi (citati in stephen hall, una questione di statura) hanno evidenziato come attorno ai due anni ci sia il picco di aggressività della specie umana. se i bambini di due anni avessero la forza degli adulti ci sarebbero vere stragi. un bambino o bambina di due anni si impone brutalmente ai coetanei, ruba i giocattoli, picchia, grida, pianta grane. qui allora nel momento della socializzazione si cerca la prevaricazione, forse per entrare nella struttura a un punto più alto, avvantaggiato.

    riassumendo: tomasello secondo me sbaglia perché o sia gli uomini che gli animali hanno consapevolezza di quanto stanno costruendo, o né gli uni né gli altri ce l’hanno.

  4. Marco, credo che quando Ivo dice “condivisibili”, intende dire che è quasi tautologico dire che il naturalismo è una forma di materialismo, indipendentemente dalle connotazioni “etiche” che si vuole dare ad un simile termine. Secondo me era una specie di battuta che non voleva esprimere la condivisione delle idee di Israel… giuso Ivo? 🙂

  5. @re: Tomasello
    I suoi esperimenti sono noti e interessanti, ma secondo me le conclusioni che trae sono eccessivamente viziate verso l’uomo. Quando dice per esempio che children, but not chimpanzees, expect and even demand that others who have committed themselves to a joint activity stay involved and not shirk their duties, mi pare che non si ricordi le organizzate battute di caccia di alcuni gruppi di scimpanzé in centro Africa, o il fatto che i macachi puniscono gli “ingannatori” (Hauser, M.D. (1992) Costs of deception – Cheaters are punished in Rhesus monkeys (Macaca mulatta). Proc. Natl Acad. Sci. USA. 89, 12137–12139). Lo stesso accade per le cappuccine. E guarda qua: Diggle, S., Griffin, A., Campbell, G., West , S. (2007). Cooperation and conflict in quorum-sensing bacterial populations. Nature, 450, 411-415.
    Sandoz, K., Mitzimberg, S., Schuster, M. (2007). Social cheating in Pseudomonas aeruginosa quorum sensing. . Proceedings of the National Academy of Sciences, 104(40), 15876-15881.
    Per quanto riguarda l’adult gossip, una delle basi della società secondo Tomasello, basta leggere “Memorie di un primate” di Sapolsky per scoprire che è così anche in altre specie. Insomma, basta conoscere un po’ di storia naturale dei primati per scoprire esempi che smentiscono Tomasello. Più complesso è la distinzione tra teaching e imitation, spesso avanzata dai fautori della differenza tra uomini e non-umani. Dato che conosciamo pochissimo le modalità di comunicazione tra le specie, e che le scoperte si susseguono a ritmo incalzante, credo che fare affermazioni apodittiche come quelle di Tomasello sia un po’ azzardato. Per esempio, già da un paio di anni si sa che i suricati insegnano, sensu Hauser. Ecco il ref: Thornton A, McAuliffe K. 2006. Teaching in wild meerkats. Science 313:227-229.
    Siamo proprio certi di essere così unici?

    @Israel Se è così, avevo capito male. Sembrava che Ivo dicesse di essere d’accordo; in questo caso IO non sono d’accordo. Si capisce?

  6. Sì, sì, si capisce! E, se può esserti di conforto, anch’io mi sento un naturalista, un materialista della peggior specie! 🙂

  7. @Knulp: Sì, il libro di Searle è leggibile anche dai non filosofi. Dipende però da cosa ti interessa: è una teoria sui fatti sociali istituzionali (per capirci: presidenti, ristoranti, camerieri, professori universitari, eccetera), non sull’intenzionalità collettiva.

    @Marco Ferrari: Sono nei guai. 😉
    Israel identifica il naturalismo con lo scientismo, e li condanna entrambi, proponendo come unica alternativa una sorta di spiritualismo, che effettivamente ci si può chiedere quanto sia compatibile con la scienza.
    Credo che le sue critiche siano sensate per quanto riguarda la scientismo più becero ed estremo (sostenuto più da filosofi che da scienziati), insensate per quanto riguarda il naturalismo.
    Molto probabilmente questa è una lettura mia, che va aldilà di quello che effettivamente Israel ha scritto.

    @alex: Penso che Tomasello si riferisca alla capacità di costruire ruoli sociali svincolati dalle effettive capacità delle persone. Un conto è una gerarchia nella quale il capo è il più forte o l’individuo che ha determinate proprietà (penso all’ape regina, per quanto si possa chiamare “capo”), un altro è identificare qualcuno come capo semplicemente perché è il capo, con una sorta di accordo (o addirittura tramite votazione democratica) che non si riduce alle caratteristiche del soggetto. Insomma: il capo non ha nulla di particolare rispetto agli altri, però è il capo. (Searle in proposito parla di funzioni di status, funzioni per le quali le proprietà fisiche non bastano).

    @hronir: Un materialista della peggior specie! Non credevo che simile gentaglia leggesse il mio sito 😉

  8. Dimenticavo: sull’unicità dell’uomo. Certo che è unico, come sono unici anche il gatto o il lombrico 😉
    L’idea di Tomasello di cercare questa unicità nell’attitudine sociale mi sembra buona, per quanto le sue ricerche, mi sembra di capire da quel che si dice nei commenti 3 e 5, non spiegano perché gli uomini hanno i presidenti del consiglio e le formiche no.

  9. @ commento 7. L’ho già detto, ma prova a leggere “Memorie di un primate” di Sapolsky o “Chimpanzee politics” di Frans de Waal (non pretendo questo: Frans B. M. de Waal & Peter L. Tyack (ed.) 2003. Animal Social Complexity), e capirai che il capo di un branco di babbuini, o di scimpanzé, non è quasi mai il più forte, ma il più capace di capire i rapporti sociali, chi è imparentato con chi, chi può essere punito e chi no; cioè chi ha una migliore intelligenza machiavellica. Insomma, mi pare che questi siano teorici che non hanno mai visto un animale in natura, e pontifichino un po’ troppo.
    @Israel. Il pezzo mi è sembrato che dicesse proprio quello che dici tu. E allora sono sempre meno d’accordo. Nessun ricercatore, men che meno quelli che si occupano di biologia, potrebbe affrontare l’oggetto della sua indagine con l’attitudine di Israel. Hauser non dovrebbe cercare le basi della moralità, e de Waal quelle del comportamento sociale, perché secondo Israel queste attengono a una dimensione “spirituale”. Ma è serio? O come al solito non ho capito niente?

  10. “quanto riguarda la scientismo più becero ed estremo”

    E quale è lo “scientismo più becero ed estremo”? Se mi parli di qualcosa del genere “la percentuale di ispirazione da Micheleangelo in questo quadro è del 75%” posso essere d’accordo, è una stupidata, ma non perchè il quadro sia dotato di proprietà sovrannaturali, ma perchè l'” ispirazione da michelangelo” non è una proprietà qualificabile in percentuale.

    Diverso è il caso in cui si definisca “scientismo becero ed estremo” sostenere, ad esempio, che non c’è discontinuità sostanziale nell’evoluzione dell’essere umano e che dunque le dimensioni “sovrannaturali” non esistono.

  11. @Marco Ferrari: Sì, con l’approccio di Israel non si dovrebbe fare molta scienza, che in fatti è la scienza disumanizzante, irrispettosa e così via. Castronerie, sia per la scienza che per la filosofia.
    Veniamo a quel che, secondo me, c’è di buono in Israel. Che non è la condanna del naturalismo (l’uomo è un “prodotto” della natura, e come tale va studiato), ma allo scientismo, la cui tesi forte, nella formulazione di Mario de Caro, è: soltanto la scienza naturale (in genere la fisica) è in grado di fornire una spiegazione vera della realtà.
    Cosa c’è di sbagliato in questa tesi? Secondo me, e secondo Israel, questo: tutto ciò che non è scienza naturale (fisica) è falso, esiste solo ciò che è descritto dalla fisica.
    Israel pensa alla religione e allo spirito, io alle scienze umane, alla morale, all’estetica e alle costruzioni sociali. Non ho nessun problema ad ammettere che l’estetica o la morale abbiano basi naturali (evolutive o cerebrali), penso però che il discorso non si esaurisca qui, che insomma non basti andare a vedere come sono fatti l’orecchio e il cervello per capire un pezzo di Ligeti, appunto perché il fenomeno ha bisogno anche di altri approcci.
    D’altra parte, un biologo non è un fisico…

  12. Sì, Ivo, e come faceva notare Kirbmarc, lo scientismo becero ed estremo di cui parli ha tutta l’aria di un bellissimo straw man

  13. @Ivo. Ho capito, ma ancora non condivido. Primo, non sono convinto che persino i fisicalisti più estremi dicano che tutto ciò che non è descritto dalla fisica non esiste (sono d’accordo con la storia dello straw man. Come dice Mayr, ogni scienza ha le sue visioni, i suoi approcci; la biologia per esempio è una scienza storica, cosa che la fisica non è. La fisica non è in grado di descrivere alcune strutture biologiche, come le società animali, che hanno bisogno di altri strumenti di spiegazione. E come ho cercato di dire prima, anche la morale, le strutture sociali e l’etica secondo me hanno una base biologica. Della religione e dello spirito mi interessa poco o niente; non sento la necessità di spiegare qualcosa che secondo me non esiste (lo spirito, dico, non la religione, che ricade nella sociobiologia). Ultimo punto non toccato neppure da Israel; non credo ci sia la necessità di spiegare lo scopo o il fine della vita, l’universo e tutto quanto. Visto che non esistono…

  14. @Marco Ferrari: Ma come, mi liquidi così la “Domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”, e proprio il giorno dopo il Towel Day!

    @hronir: Straw man? Oh, sapessi quanti fantocci del genere ci sono, tra filosofi più o meno professionisti… 😉

  15. Grazie per il commento, Ivo.

    Secondo me il problema sta tutto nel definire le parole “vero” ed “esistente” (dici poco…).

    Pensiamo agli scacchi: i pedoni esistono, ma “esistono” anche le regole e le mosse. Solo che regole e mosse non esistono allo stesso modo dei pedoni.

    Regole e mosse non sono oggetti, sono procedure (così come morale ed estetica sono procedure) ovvero o un susseguirsi di azioni (mosse) o uno schema di azioni escluse o permesse nell’ambito della definizione del “gioco” (regole).

    Anche i confini sono una “regola” (un set di procedure, ovvero ad esempio “superando queste coordinate non vale più il regolamento X ma quello Y”), come pure le multe o il denaro stesso.

    Regole e mosse esistono solo se viene accettato il “gioco” (ovvero regole morali e civili esistono solo se valgono una morale o delle leggi).

    Gli oggetti fisici, invece, esistono indipendentemente dalle teorie che li studiano o dalle regole che li descrivono.

    I quark esistevano anche prima che li scoprissimo, mentre, ad esempio, il gambetto non esisteva prima che venissero inventati gli scacchi, o i confini non esistevano prima che venissero “inventati” gli stati.

    E’ per questo che il termine “oggetti sociali” ( o “morali” o “estetici”) mi piace poco: sembra sottoniendere un esistenza a sè di gambetti, confini o regole morali.

  16. Sì, so che le discussioni (non solo in filosofia) sono sempre piene di fantocci; ma se diciamo “Credo che le sue [di Israel] critiche siano sensate per quanto riguarda la scientismo più becero ed estremo […]” stiamo di fatto dando “diritto di cittadinanza” a quel fantoccio, che, proprio perchè fantoccio, bisognerebbe cercare semplicemente di mettere fuori discussione.

  17. en passant, io ho invece una certa propensione a “credere” all’ “esistenza” degli “oggetti sociali” (uff… tutto tra virgolette 🙂 )

    ma vorrei addentrarmi nel tema dei ruoli: quando si parla di physique du role non lo si fa a casaccio. è vero che nei primati le qualità “politiche” sono essenziali per arrivare in cima alla piramide. la vicenda di nikki, luit e yeroen raccontata da de waal è piuttosto chiara in proposito. ma la funzione di ruolo mi pare decisamente influenzata dall’apparenza di chi vuole ricoprire quel ruolo.

    si suol dire che in natura il più forte è il capo. solitamente il più grande. mi sembra che noi non facciamo differenza: la mitologia è piena di storie di “grandi” personaggi a capo delle comunità. sono grandi fisicamente, perché essere grandi moralmente in genere è sufficiente solo a raggiungere la posizione di consigliere privilegiato del capo. esempi antichi: massimino trace, carlomagno.

    il fisico è tanto importante nella percezione che abbiamo di un ruolo che c’è chi si rende ridicolo con tacchi, cuscini sulle sedie, arrampicate su predellini, sedie degli altri abbassate pur di sembrare più alto.

    la funzione/finzione di ruolo (finzione fin dal gioco infantile) appare un leggero velo che copre, neanche tanto, una tendenza normale – naturale.

    cosa voglio dire? mi sono un po’ perso. più o meno: che tomasello ha preso una topica, noi umani non siamo diversi dagli altri animali, persino nella costruzione “cerebrale”, teatrale, della società e dei ruoli che ci rivestiamo dentro.

  18. Marco, non so se si capisce, ma credo di essere quello più d’accordo con te, in un po’ tutte le discussioni qui da Ivo…

    Strettamente parlando (filosoficamente parlando) la MQ è molto più rivoluzionaria della Relatività (Generale) (che, lo ricordo, fa piazza pulita dei “tradizionali” concetti di spazio e tempo, fate un po’ voi), che a sua volta è molto più rivoluzionaria — strettamente parlando — dell’evoluzione di Darwin, che in fin dei conti, parla di cose “concrete” come gli animali e le piante sulla Terra. L’immagine del mondo, quindi, è sconvolta più dalla relatività e dalla MQ che dalla teoria di Darwin, perchè le prime affondano le loro implicazioni fin nei concetti più elementari (oggetti, spazio, tempo) con cui costruiamo tutto il resto della nostra immagine del mondo.

    Tuttavia (cfr. Quine) la nostra immagine del mondo affronta l’esame della realtà come un tutt’uno, e in questo senso la Teoria di Darwin è molto più rivoluzionaria delle teorie fisiche di inizio secolo: proprio perchè la fisica si occupa dei “piani bassi” del castello della nostra immagine del mondo, modifiche anche radicali “lì sotto” posso propagare poche o punte conseguenze “nei piani alti” della nostra vita quotidiana. Al contrario, la teoria di Darwin si colloca direttamente presso i “piani alti” e la sua ineguagliabile portata rivoluzionaria sta nel fatto che non puoi “accettarla” senza rimescolare le carte in quasi tutto il castello (a parte, forse, i piani bassi dove, cmq, dopo la MQ, nessuno ci capisce più niente lo stesso…).

    Immaginati le stanze e i piani del castello: in basso le fondamenta (le scienze “dure”), e sopra tutto il resto: vita sociale, speranze, paure, valori, la religione, lo spirito… le cose con cui (volente o nolente) hai a che fare tutti i giorni.
    Cambia le carte nei piani bassi: vuoi un mondo basato su quattro elementi (terra, aria, fuoco e acqua), o su uno solo (l’acqua o l’apeiron…)? le conseguenze, ai piani alti, si sentono poco. Vuoi un mondo con un Sole al centro invece che la Terra? Le conseguenze ai piani alti… ehi, un momento: qui cominciano a sentirsi già un po’ di più (e infatti qualcuno rischiava di rimetterci le penne…). Vuoi uno spazio e un tempo assoluti? Oggetti che nel microscopico diventano fomosi e indefiniti? Sembra di giocare di nuovo con l’apeiron.
    Ma con Darwin no: ci troviamo di fronte a un Galileo all’ennesima potenza. Tu probabilmente saresti stato uno sporco materialista (come me, del resto, sia detto con orgoglio, non come offesa) anche nel quattrocento, intuiendo che tutto il resto può essere infilato sotto il cappello della superstizione. Ma prova a spiegarlo a un credente: ti toccava fare il filosofo (senza offese, Ivo). Ora invece, dopo Darwin, no. Non hanno più scampo. C’è per la prima volta nella stora dell’uomo una spiegazione scientifica più che plausibile di tutti i piani alti, più o meno indipendentemente dai dettagli nelle fondamenta. Questa cosa non può rimanere relegata ad un’ala del castello: cambia i colori a tutte le pareti!

    E’ per questo che non l’accettano.

    Tutto il resto (“difficoltà concettuali”, “complessità irriducibile”…) sono solo scuse.

  19. Vedi che a spiegarle bene le cose le capisce anche un idiota come me? Anch’io penso che Darwin abbia sconvolto la vita di tutti i giorni semplicemente perché per la casalinga che abbia ragione Newton o Einstein o Schroedinger non cambia niente. Ma se ha ragione Darwin tutto il suo daffare per ergersi al di sopra del resto del Creato e trovare uno scopo nella vita è assolutamente inutile. Ed è per questo che ci sono astronomi vaticani, ma non ci sono biologi papali. Sarebbe il lavoro più ossimorico che esista…

  20. Sull’ultimo numero di New Scientist la copertina dice Humans are obviously unique. But it’s surprisingly hard to say why. Lo leggo e vi dico.

  21. Ops! Ivo! Mi sono accorto ora di aver risposto a Marco Ferrari, per errore, in calce a questo post invece che a questo
    Forse, inconsciamente, per arrivare prima al commento numero 42? 🙂

  22. @Kirbmarc: Anche a me l’espressione “oggetti sociali” non convince, anche se per altri motivi. Ne riparleremo…

    @hronir e Marco Ferrari: Beh, non è che il sapere se sia stato progettato o meno cambi molto il mio vivere quotidiano, anzi: se penso alla mia giornata tipo (sveglia, colazione, treno, lavoro, pranzo, lavoro, treno, cena, sonno…) non cambia nulla. Certo, tocca direttamente il mio statuto ontologico (che parolona!), insomma il posto che penso di avere nel cosmo. Il che non è poco. Non so se basti a spiegare la domanda originaria (perché l’evoluzionismo è così difficile da accettare?), però sicuramente è un grosso problema.
    Su New Scientist: aspettiamo impazienti!

    @Alex: Mi sono perso anche io… 😉
    Comunque ripeto: l’idea di cercare l’unicità umana nel sociale mi sembra buona, per quanto la cosa non sia così semplice come la espone Tomasello. D’altra parte, le cose non sono mai così semplici.

  23. La questione ha tre aspetti.
    Uno filosofico, uno di “metodologia” ed uno empirico.

    Per il lato filosofico, sarebbe bene fare accusatio terminorum e chiederci cosa davvero intendiamo con la pretesa di “unicità” umana.
    Dubito che si riferisca alla pretesa che solo l’uomo abbia questa facoltà o solo l’uomo quell’altra.
    Mi pare un modo un po’ goffo per esprimere un altro concetto: la differenza tra azioni che scorgiamo di norma- probabilmente per un errore di prospettiva- solo nei consimili, ed altre che riconosciamo anche nelle altre specie.
    La filosofia morale distingue actus humani e actus hominis, cioè quelle cose su cui possiamo dare giudizi valutativi( bene-male, giusto-ingiusto, utile-inutile etc. ) e quelle su cui i giudizi etici sono assurdi.
    Di solito la demarcazione, in verità un po’ grezza e da rifinire, è accompagnata dall’idea che gli actus humani non siano descrivibili in termini biologici.
    Nondimeno, la distinzione regge indipendentemente da speculazioni di filosofia della natura.
    Anche chi sostiene la metafisica monista e naturalista più spinta, deve ammettere che malattie, pulsioni fisiche e similia non ammettono giudizi morali, e i rapporti interpersonali o le azioni coscienti invece sì.

    La questione di metodo, se un approccio “naturalista” sia sufficiente o meno, la lascio ad altri.

    Poi c’è un fatto empirico che menzioni.
    La storia che altri animali abbiano linguaggio mi giunge nuova e mi sorprende.
    Non è che due esamucci di linguistica generale facciano di me un linguista, ma sono perplesso.
    Che i pappagalli comunichino è evidente, ma “linguaggio” è più di comunicazione.
    Non credo esista una definizione esaustiva e generalmente accettata, e mi accontento di una versione minimale: forma di comunicazione dotata di semantica, pragmatica e sintassi( e fonologia, prosodia etc. ); di produttività potenzialmente illimitata; ricorsiva e basata su unità discrete organizzate in una struttura per la sintassi; in grado di costituire un dialogo complesso domanda-risposta.
    Per quello che ne so queste caratteristiche, prese tutte assieme, sono esclusiva biologica dell’homo sapiens.
    Ci sono stati degli esperimenti di linguaggio dei segni con gli animali: i risultati erano magari interessanti, ma ben lontani dal linguaggio come definito sopra.
    Sono molto curioso: hai notizie diverse a riguardo?

  24. Sono molto meno linguista di te, ovviamente. E come al solito tutto dipende dalla definizione di linguaggio, e di cosa fa parte del linguaggio stesso. Alcune caratteristiche sono proprie dell’uomo (estrema complessità ovviamente) ma per esempio alcuni ritengono che alcune sintassi non siano solo dell’Homo sapiens, ma anche di altre specie di scimmie antropomorfe e no (persino degli storni). Una caratteristica solo umana sembra la ricorsività, ma alcuni (Bickerton, per esempio) la considerano un artefatto; e ci sono alcune tribù che non la usano. La creazione di parole, per esempio, non è solo dell’uomo, ma del bonobo e forse di una scimmia africana (che ha unito le grida per “leopardo” e “aquila” per spingere il gruppo ad andarsene – anche se non ci sono né leopardi né aquile nei dintorni). Insomma, se vuoi trovare proprietà del linguaggio che sono solo umane, le puoi trovare, non c’è problema. Ma, ancora una volta, è questione di grado o di qualità?
    A proposito dell’articolo di New Scientist, è un buon riassunto di tutte queste cose, più altre caratteristiche che si ritenevano umane (come l’uso di strumenti o l’uso di strumenti per fare strumenti) ma che non lo sono. Niente si nuovo, anche se dal mio punto di vista (da giornalista, diciamo) è molto buono.

  25. @eno: Seguo la differenza tra actus humani e actus hominis, mi chiedo però quanto siano solo umani gli atti humani.
    Ricordo un filmato nel quale il cane si fidava o meno delle indicazioni del padrone, e questa fiducia non mi sembra un atteggiamento moralmente neutro… Anche qui, la differenza sfuma, si riduce. C’è, ma non la si trova…

    Il problema è capire se la differenza tra l’uomo e gli altri animali è un problema di di quantità o di qualità oppure se di quantità e di qualità.

    @Marco Ferrari: Mi sa che me lo dovrò procurare, ‘sto numero di New Scientist, anche se non ho idea di dove trovarlo…

  26. Mi pare fuorviante domandarsi ‘cosa’ rende unici gli umani. capacità di astrazione, produzione di linguaggio, socialità… sono tutte necessarie e contribuiscono all’umanità.
    Inoltre non mi immagino un modo per 1) catalogare tutte le “dimensioni” dell’umanità; 2) misurarle e 3) paragonarle a quelle di altri animali, soprattutto molto diversi dai primati.
    Che cosa rende unici i gatti? il fatto che siano gatti…

    @Ivo: non ti cambia molto sapere se sei stato progettato? C’è chi sostiene che gli umani non si sono evoluti per mangiare carne. Io (ad esempio) non credo a questa progettualità e continuo a mangiarla (moderatamente…).
    Gli esempi di questo tipo sono molti; quello che voglio sostenere è che la teoria evolutiva non cambia solo il nostro status ontologico, ma ha molte ricadute pratiche.

  27. @Ant: Neppure io mi immagino un modo per catalogare le dimensioni dell’uomo, e in effetti la domanda “in cosa l’uomo è unico” e insoddisfacente da molti punti di vista. Eppure non credo sia così inutile porsi un interrogativo simile, una volta chiarito bene quale sia il senso della domanda.

    Sulle ricadute pratiche della teoria dell’evoluzione: sì, ovviamene ne ha ma, appunto, quando mettiamo in discussione il rapporto tra noi uomini e il resto del creato, cosa che non avviene proprio tutti i giorni…

  28. Domanda: “Che cosa hanno gli esseri umani che gli altri animali non hanno?”
    Risposta: “Ogni tanto stanno davanti ad un computer!”

  29. e se fossero i vestiti? o il fatto che usiamo il dentifricio?

    magari è che siamo l’unico animale capace di autocondannarsi all’estinzione distruggendo il nostro ambiente.

  30. Avevo postato un po’ in fretta e forse devo chiarire: non penso che sia inutile domandarsi in cosa siamo unici; trovo inconcludente farlo presupponendo che sia un certo ingrediente segreto, e solo quello.

    La nota sulle ricadute pratiche della teoria evolutiva era per replicare agli interventi (che non trovo più) per cui la famigerata casalinga non capirebbe né la fisica moderna, né l’evoluzione, ma alla prima crederebbe perché le garantisce una tecnologia, mentre la seconda cambierebbe il suo cosmo senza darle nulla in cambio…

  31. Ant, gli interventi che non trovi più credo siano questi qui, visto che per un mio errore la discussione si è divisa/confusa in calce a due post diversi…

    Quanto al merito della questione, le ricadute “pratiche” dell’evoluzione, non sono affatto convinto che si limitino, come dice Ivo, a quando “mettiamo in discussione il rapporto tra noi uomini e il resto del creato”. O meglio, credo che questa cosa possa avvenire anche tutti i giorni, quando per esempio siamo coinvolti in una condizione spiacevole, siamo colpiti da un dolore, ci ritroviamo in circostanze difficili… avere un Dio cui aggrapparsi può fare una differenza enorme, molto più che avere a disposizione un dispositivo elettronico ipertecnologico che funziona grazie alla meccanica quantistica e alla relatività generale…
    Certo, un ateo convinto potrebbe dire che anche l’insight che proviene dalla fisica fondamentale suggerisce un’immagine del mondo priva di “un essere sovrannaturale e antropomorfo che si cura degli affanni di esserini brulicanti su un pianeta sperduto nella via lattea”, ma, concederete, la forza dell’argomento darwiniano e’ infinitamente più stringente…!

  32. @Marco Ferrari: Hmm, tribù che non usano la ricorsività… ma esattamente, quali tribù?
    In effetti, neanche io uso dire “il cugino dello zio del marito del papà del fratello…” o “John thinks Mary thinks Jean thinks…”.
    Ma la ricorsività non ha alcun bisogno di essere usata: basta che quelle parti frasi qui sopra siano corrette( oltre a essere molto brutte ).
    Si può ridimensionare ancora la pretesa, senza l’infinitezza. Basta che un bambino sentendo solo frasi come “Giovanni dice che Maria è venuta” sappia spontaneamente proferire una frase di tipo più complesso: “G dice che M pensa che Maria è venuta” e capire che è corretta.

    Non so la risposta alla tua domanda su grado o qualità.
    Però non è la sintassi in sé ad essere significativa: ce l’ha anche un linguaggio di programmazione, una melodia, in qualche senso anche l’uso di un modulo architettonico etc.
    La sintassi umana ha la caratteristica di non essere basata solo sull’ordine lineare.
    Per esempio, per porre una domanda in inglese da “I am alive”, si dice “Am I alive?”.
    Ma la regola non è “inverti la prima e la seconda parola”, perché “Professor the is coming?” o “Hate you poetry?” non sono corrette.
    La regola è “Poni la categoria verbale che occupa la posizione dell’ausiliare sopra la posizione del soggetto.”
    Questa regola, come tutte le regole sintattiche, presuppone che le parole siano suddivise in categorie- verbo, preposizione, determinante, nome, frase etc. -, le quali non coincidono con il significato delle parole. Dopotutto, “la mia lettura di quel libro” e “che io abbia letto quel libro” sono sinonimi, ma anche diversi.
    E presuppone che le categorie siano organizzate in una struttura gerarchica con vari gradi di incassamento.

    Se questo fattore non c’è nel fischio degli storni, forse potremmo parlare di differenza di grado.

  33. @Ant: Direi che ci sono (almeno) tre livelli diversi di credenza, qui:
    1. Credo nel senso che ho una chiara comprensione del fenomeno.
    2. Credo nel senso che coscientemente uniformo la mia condotta alle conseguenze o applicazioni del fenomeno.
    3. Credo nel senso che, senza saperlo, uniformo la mia condotta alle conseguenze o applicazioni del fenomeno.

    Esempi:
    1. ho una laurea in medicina 2. Se sto male vado dal medico 3. Se sto male vado da mio cugino che mi consiglia di prendere un’aspirina.
    1. Sono un meccanico quantistico (scusate, era una vita che volevo fare questa battuta) 2. Sono convinto che nei laboratori di fisica facciano qualcosa di interessante, anche se non capisco cosa 3. Credo nella funzioni di una qualsiasi applicazione della meccanica quantistica (radiografie? tac?).

    Se è vero quel che dicono alcune ricerche, molti cattolici non conoscono il credo – e quindi secondo la definizione 1 non credono. Se in caso di difficoltà preferiscono pregare il politico di turno invece del Signore, direi che non credono neppure nel senso 2.

    Il problema dell’evoluzionismo, credo, riguarda la credenza nel senso 2. Non ci si fida.

    @hronir: Ma davvero la teoria dell’evoluzione esclude Dio? Certo implica una revisione, anche radicale, della fede (perché Dio ricorre a una cosa crudele come la selezione naturale?), ma non credo che ci sia mutua esclusione.

    @eno: Mi prendo una laurea in linguistica e ti rispondo… 😉

  34. Ivo, da buon Quiniano quale sono, come potrei mai sostenere che l’evoluzione esclude tassativamente l’esistenza di Dio? Non e’ una singola affermazione che affronta il tribunale dell’esperienza, ma tutte insieme, come un tutt’uno. E dunque, strettamente parlando, ci si può anche riuscire, a far andare a braccetto Dio e Darwin…
    Quel che volevo dire è che, tuttavia, è molto più facile — oggettivamente! — adattare Dio alla meccanica quantistica e alla relatività che alla teoria dell’evoluzione.

  35. @hronir:

    è molto più facile — oggettivamente! — adattare Dio alla meccanica quantistica e alla relatività che alla teoria dell’evoluzione

    Sì, sono completamente d’accordo.
    E aggiungo: bisognerebbe considerare la teoria dell’evoluzione una sfida da raccogliere, non una minaccia da combattere.

  36. Ancora Ivo, perché una sfida? L’evoluzione ci racconta semplicemente come va il mondo, non ha certo la pretesa di essere niente di normativo. Tu raccoglieresti la sfida della cromodinamica quantistica?

  37. @Marco Ferrari: Raccoglierei la sfida della cromodinamica quantistica? Ben volentieri, se mi spieghi qual’è…
    Intanto, spiego la sfida dell’evoluzione: capire come mai Dio abbia scelto un metodo crudele come la selezione naturale per l’evoluzione della vita. Inoltre, diventa anche difficile capire in che senso noi si sia stati creati a immagine e somiglianza di Dio.
    Considerare l’evoluzionismo una sfida da raccogliere significa cercare una risposta (teologica) a queste due domande. Considerarla una minaccia significa dire “ma no, c’è comunque un disegno, e poi per l’uomo c’è stato un salto ontologico, ecc.”.

    PS Commento numero 41…

  38. Cazzo, mi sono perso il 42, non è possibile!!!
    Comunque “capire come mai Dio abbia scelto un metodo crudele come la selezione naturale per l’evoluzione della vita. Inoltre, diventa anche difficile capire in che senso noi si sia stati creati a immagine e somiglianza di Dio” significa dare per scontato che dio c’è (come c’è scritto sull’autostrada).
    Il tutto si risolve dicendo che dio non c’è e l’universonon ha senso. E con questo la discussione è veramente chiusa… 😎

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